2 febbraio 2011
Enzo Amendola: il medico della peste
Il caos delle primarie napoletane non è
stato un brutto episodio e basta. Era qualcosa di prevedibile in largo
anticipo, bastava avere un po’ di buon senso e di ragionevolezza per
capire che a Napoli le primarie non sarebbero state un discutibile
esercizio di democrazia ma una resa dei conti. I segnali c’erano tutti,
anche il più lontano osservatore delle vicende campane del Pd li avrebbe
percepiti. A Napoli il Pd è in guerra, e non ci sono guerre senza
morti.
Forse qualcuno ha volutamente avallato la
resa dei conti, vuoi per timore di compromettere la propria carriera
politica, vuoi perché probabilmente il suo potere decisionale nel
Partito democratico campano è pari al rinnovamento che ha messo in campo
in questi mesi. Molti avevano sperato in una svolta politica in
Campania dopo aver sostenuto con convinzione l’elezione a segretario
regionale del giovane Enzo Amendola.
I fatti, dalla gestione della candidatura
di De Luca a presidente della Regione Campania, fino al comportamento
pilatesco che ha avuto nelle primarie napoletane, hanno fatto ricredere
quanti speravano in lui. Dopo aver ottenuto un consenso molto ampio –
fin troppo diremmo – alle primarie che lo elessero segretario regionale,
l’unico obiettivo perseguito dal giovane segretario è stato quello di
costruire l’organizzazione del partito sul territorio campano. Di
politica nemmeno a parlarne. Probabilmente l’errore è stato non
comprendere che nel Pd campano la polvere per troppi anni era stata
messa sotto il tappeto, e non poteva essere il tempo a risolvere qualche
antica questione.
Il Partito democratico campano è da sempre
lacerato da forti tensioni al suo interno, tutte di natura politica. Al
segretario Amendola deve piacere “il medico della peste”, il dottore che
cura l’appestato con un lungo e sottile bastone di legno, avendo cura
di poggiare sotto il naso delle erbe aromatiche per purificare l’aria.
C’era e c’è una grande questione politica
irrisolta: portare il Pd campano fuori dalle secche del bassolinismo e
dell’antibassolinismo. Superare il bassolinismo in quanto pratica di
potere per il potere; accantonare l’ antibassolinismo perché non è una
linea politica.
Invocare la parola d’ordine “unità”
tentando di comporre una questione politica attraverso la distribuzione
di deleghe (in segreteria regionale manca solo il responsabile “sole e
acqua” e poi tutti i settori sono coperti) non è una strategia
ragionevole. Se è vero che Veritas filia temporis, l’emersione delle frizioni politiche mai risolte non ha tardato a manifestarsi. Forse Amendola è devoto al motto cartesiano: bene vixit qui bene latuit,
ma il Pd campano pare interessarsi poco alla filosofia e, nel
frattempo, ha travolto lui e la sua pretesa unità. Ovvero può essere che
l’amico Enzo sia poco o nulla interessato al partito democratico
campano. Ci sarebbe da chiedere al segretario regionale: cui prodest?
Il mandato di Amendola aveva come obiettivo
quello di definire una nuova linea politica in Campania: ripulire il
partito dalle scorie radioattive generate dal potere degli ultimi 15
anni, far emergere le migliori energie al di là delle spartizioni
correntizie. Al contrario, pur avendo un forte legame con Bersani
(chissà se non sia questo il problema), Amendola ha creduto di poter
costruire un edificio su fondamenta precarie e logorate da tempo da una
guerra fratricida.
Riconoscere i limiti dell’azione politica
del segretario regionale del Pd e il suo scarso potere decisionale vuol
dire anche riconoscere grandi responsabilità della dirigenza nazionale.
Arginare il dissenso interno con dubbie strategie politiche ha, in
realtà, dilatato lo scontro politico, e oggi del partito resta solo
cinigia. In fondo Amendola quasi certamente siederà in Parlamento nella
prossima legislatura. Cari democratici campani, arrangiatevi! Antonio Bruno Pubblicato su the Front Page il 1 febbraio 2011
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