19 aprile 2010
Partito Democratico: tra forma e sostanza
Negli ultimi mesi dirigenti e rappresentanti del
Partito democratico hanno discusso di congresso, partito “leggero” o “pesante”,
candidature, primarie, elezioni. Tra formule organizzative e interpretazioni
varie dell’avanzata della Lega e di Berlusconi (guai a chiamarla sconfitta del
Pd), la Politica tra i democratici stenta ad affermarsi come momento
prioritario. Da più parti è stato auspicato un confronto su temi come il
profilo politico del Pd, l’offerta politica – intesa come capacità di astrarsi
dalla dinamica berlusconiana per proporre soluzioni per il Paese durature e non
contingenti -, la ridefinizione dei confini politici del partito
attraverso contenuti politici e programmatici.
Solo buoni propositi, ma nella realtà si preferisce
parlare del contenitore e non dei contenuti. Individuare le priorità per
l’Italia, elaborare in maniera chiara proposte e modalità di realizzazione
delle stesse, potrebbe portare ad una selezione naturale degli alleati,
evitando fraintendimenti, rotture mediatiche e cartelli elettorali.
Governabilità: è da questo punto che bisogna partire per ricostruire un normale
quadro politico, aperto al protagonismo anche di altre forze che condividono lo
spirito della “democrazia governante”. Bisogna uscire dalla precarietà e
dall’incertezza dell’attuale situazione politica, e ciò serve al Pd e
all’Italia.
Stritolato dalla sua tendenza conservatrice, il Pd
vive un momento difficile. Sperare nell’implosione del Pdl, quasi rassegnati ai
limiti della propria azione politica, è sintomo di una crisi di idee e di
strategia politica più profonda della superficiale litigiosità che fino ad oggi
ha caratterizzato i democratici. I metodi e le scelte politiche fatte negli
ultimi 15 anni non suscitano più interesse nei cittadini, hanno esaurito il
loro potenziale. Era prevedibile, prima o poi i nodi vengono al pettine.
Nell’ultimo decennio in Italia ci sono state
trasformazioni sociali e culturali che, di fatto, hanno reso inadeguata la
strategia politica messa in atto dal Pd. Le pratiche di pura gestione del
potere non garantiscono più risultati elettorali e politici. Il voto è divenuto
sempre più mobile, soggetto ai condizionamenti sensazionalistici e mediatici.
Nella dinamica berlusconiana l’ideologia ha ceduto il passo al “fare/apparire”,
la programmazione politica è stata sostituita dai sondaggi.
Purtroppo anche il Pd è andato a ruota, avallando di
fatto una concezione della politica fondata sulla prassi e sul leaderismo. Non
c’è futuro per un partito senza un quadro teorico di riferimento, a meno che la
tentazione plebiscitaria, presente nel Pd, non faccia da pendant al
deserto ideologico. Un simile percorso sarebbe davvero autolesionista. Così
come lo è stato allearsi con Antonio Di Pietro, “attore protagonista” della
strategia berlusconiana basata sulla polarizzazione dello scontro. Stucchevole
è stata la querelle sull’autosufficienza o meno del Pd. Sarebbe il caso
di parlare dell’autosufficienza o meno della dirigenza a delineare percorsi politici
di ampio respiro.
Bisogna rimettere in moto l’elaborazione politica e
culturale con una competizione sui contenuti e non sulle tessere (reali?), per
vincere le elezioni e non solo i congressi. Correnti di pensiero, e non
eserciti per faide tra leaders. Né la selezione della classe dirigente basata
sull’anagrafe né il rinnovamento autopoietico consentiranno al Pd di superare
la crisi attuale. Credo che sia necessario individuare la sostanza del partito
e rimettere eventualmente in discussione – se necessario – il progetto
democratico, per ridefinire il quadro politico del centrosinistra, recuperando
la tradizione riformista. Altrimenti il Pd continuerà ad essere minoranza
nel Paese.
Articolo pubblicato su FrontPage
Antonio Bruno
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